Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

giovedì 3 settembre 2015

Appunti per un'orestiade africana, Pier Paolo Pasolini

Una pellicola che non è solo un documentario, non è solo una ricerca antropologica, non è solo un diario di viaggio. Eppure è tutte queste cose insieme. Sono appunti, come dice il titolo.
La voce che commenta è quella di Pasolini stesso che, molto ordinatamente, spiega il suo progetto, lasciandolo volutamente nella forma di progetto. Non è quindi qualcosa di incompiuto, tutt'altro. È una nuova forma che Pasolini adotta non solo nei film, ma anche nei romanzi ( già con Teorema e  la Divina Mimesis, raggiungendo il suo culmine con Petrolio).
L'intento: quello di porre per analogia l'Orestea di Eschilo (composta dalle tre tragedie Agamennone, Le coefore e le Eumenidi)all'Africa libera degli anni sessanta, sopratutto dal punto di vista della tragedia terza, dove le Erinni, le Furie, vengono trasformate  da Atena in Eumenidi. Questo passaggio, questa trasformazione, rappresenta simbolicamente la scomparsa di una parte dell'Africa antica, quella tribale, quella al tempo stesso terribile e brutale, spaventosa e ancestrale, imbevuta dello spirito antico. "L'africano", dice uno degli studenti universitari africani di Roma, intervistati nel film da Pasolini per giudicare la pellicola "contiene una vita interiore molto profonda"
Ed è da quella profondità della vita che Pasolini vorrebbe ripartire, cercando, nella prima parte, nei volti africani, i suoi protagonisti: così cerca nel volto di un vecchio l'Agamennone che torna dalla guerra e in una donna velata di nero sua moglie Clitennestra. Cerca infine il Coro, grande protagonista delle tragedie e insiste sul "carattere popolare " del suo film: "Il grande protagonista deve essere il popolo".I protagonisti devo essere quelli che lui scova in giro per Uganda, Tanzania, lago Tanganika.
Per le Erinni invece ha un'intuizione molto poetica. Non essendo umane, lascia che siano i grandi alberi africani a rappresentarle, e le divinità infuriate sono gli alberi spazzati via dal potente vento.
C'è popi un'interruzione dove Pasolini raccoglie l'idea di una tragedia cantata invece che recitata e qui si apre l'esperimento musicale jazz (con Gato Barbieri). Forse troppo lungo e straniante per essere preso in considerazione. E comunque Pasolini non decide, semplicemente appunta le sue idee in forma di immagine e giunge a Atene con il suo Oreste, di fronte al grande palazzo di Apollo che potrebbe essere, dice, l'Università a Kampala (Uganda). È il moderno che invade l'antico. O meglio: è l'Occidente che invade l'Africa portando una democrazia formale, con tutte le sue contraddizioni.
La conclusione, annuncia infine, è sospesa. Perché il nuovo mondo è ormai instaurato. Oreste è stato il tramite tra la barbara Argo ( tribale, in un certo senso, irrazionale e antica, così come lo sono le Erinni) e la razionale Atene, dal cui nuovo tribunale istituito da Atena, un tribunale di uomini per uomini, verrà assolto. Il punto di congiunzione tra l'antico e il nuovo. Che non è detto sia migliore.

La danza della tribù Wa-go-goo che chiude il film rappresenta questo passaggio: una danza piena di significati magici svuotata oggi nel significato dall'elemento sacro. La domanda ultima( e la più amata da Pasolini) è dunque questa: possono coesistere antico e moderno? E se sì in che modo? 


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