Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare. (A. Cechov)

giovedì 9 aprile 2015

Pasolini e il Nuovo Potere - Parte 2

Pasolini e il Nuovo Potere-Parte 1


Nel 1973, in un articolo sul "Tempo illustrato"[1], criticando i temi di italiano dati all'esame di maturità dello stesso anno, scrive: «La restaurazione o rivoluzione reale cominciata nel 1971-1972[...] è in realtà una rivoluzione. [...]Essa tende a cancellare il passato, con i suoi "padri", le sue religioni, le sue ideologie e le sue forme di vita(ridotte oggi a mera sopravvivenza). Questa rivoluzione di destra, che ha distrutto prima di ogni cosa la destra, è avvenuta fattualmente, pragmaticamente. Attraverso una progressiva accumulazione di novità (dovute quasi tutte all'applicazione della scienza): ed è cominciata dalla rivoluzione silenziosa delle infrastrutture». La civiltà tecnologica, voluta dal Nuovo Potere, ha generato un nuovo mondo distruggendo le vecchie istituzioni sociali, quali la famiglia, cultura, la lingua, la Chiesa. Anche « la "vera" tradizione umanistica[...] viene distrutta dalla nuova cultura di massa e dal nuovo rapporto che la tecnologia ha istituito -con prospettive ormai secolari- tra prodotto e consumo»[2].
Scompaiono dunque non solo le culture originali e differenziate del mondo contadino e sottoproletario, ma anche la borghesia paleoindustriale. Tutte queste classi vengono unificate e omologate per creare una nuova borghesia, completamente dedita al consumo. Nel 1975, poco prima di morire, afferma che in Italia tutti sono diventati borghesi, anche se le differenze continuano a sussistere economicamente: esiste cioè una classe borghese povera e una ricca. La scomparsa delle minoranze e delle diversità, dei particolarismi e della realtà, va di pari passo con la scomparsa dei sorrisi e della felicità. Parla di genocidio delle classi subalterne, voluto dalla società dei consumi e coadiuvato dai giovani, i quali hanno compiuto una vera e propria abiura dei modelli precedenti di vita.
  Ma, ancor più tragico per un poeta, Pasolini assiste all'impoverimento progressivo della lingua. Il linguaggio è stato segnato anch'esso dall'omologazione, spesso diventando puro tecnicismo. L'italiano è stata una lingua esclusivamente letteraria per secoli e il centro era Firenze, grazie ad artisti come Dante o Boccaccio.  Ma dopo la fine della guerra ha subito un cambiamento: il centro non è più letterario e non è più Firenze, bensì è tecnico-tecnologico ( basti pensare, afferma, alla parola "frigorifero", utilizzata in tutta Italia nello stesso identico modo) e ha come capo Milano. A questo radicale cambiamento contribuiscono i giornali, l'accrescimento delle infrastrutture e, sopratutto, la televisione. Il Nuovo Potere si serve degli strumenti della tecnologia in maniera subdola. È una violenza non esplicita e per questo  ancor più pericolosa perché invisibile o quasi. La televisione ha contribuito a diffondere l'ideologia reale del potere che si fonda sull'edonismo del potere consumistico e crea vittime innocenti, come ad esempio la Marylin Monroe ritratta ne "La rabbia", la «sorellina ubbidiente», la cui «bellezza sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente, divenne un male mortale».
 «I mezzi però non sono niente» afferma Pasolini, «sono strumenti neutri. Ma appena se ne impadroniscono i mediatori della cultura di massa ecco che oltrepassano la loro funzione di strumenti, che si "divinizzano": se ne fanno una "divinità" al servizio del culto del Potere e del Denaro[3]». Attraverso la televisione i "modelli" non vengono parlati, ma rappresentati. Sono modelli tali da rendere la gioventù più indifesa criminale o criminaloide. «È stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l'era della pietra e iniziato l'era dell'edonè[4]». La proposta di Pasolini per eliminare la criminalità è quella provocatoria di abolire la televisione. Così come propone di abolire la scuola dell'obbligo, in quanto scuola di iniziazione alla cultura piccolo-borghese, fatta di nozionismo statico e moralismo. La criminalità è una conseguenza diretta del modo di essere della società dei consumi: «il consumismo ha distrutto cinicamente un mondo "reale", trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c'è più scelta possibile tra bene e male[5]».
  Lo scrittore prende atto dolorosamente  di una vera e propria afasia, cioè una perdita delle capacità linguistiche. «Tutta l’Italia centro-meridionale aveva proprie tradizioni regionali, o cittadine, di una lingua viva, di un dialetto che era rigenerato da continue invenzioni, e all’interno di questo dialetto, di gerghi ricchi - di invenzioni quasi poetiche: a cui contribuivano tutti, giorno per giorno, ogni serata nasceva una battuta nuova, una spiritosaggine, una parola imprevista; c’era una meravigliosa vitalità linguistica. Il modello messo ora lì dalla classe dominante li ha bloccati linguisticamente: a Roma, per esempio, non si è più capaci di inventare, si è caduti in una specie di nevrosi afasica; o si parla una lingua finta, che non conosce difficoltà e resistenze, come se tutto fosse facilmente parlabile - ci si esprime come nei libri stampati - oppure si arriva addirittura alla vera e propria afasia nel senso clinico della parola; si è incapaci di inventare metafore e movimenti linguistici reali, quasi si mugola, o ci si danno spintoni, o si sghignazza senza saper dire altro»[6]. 
Parlando della generazione dei giovani contestatori afferma: «Credo di poter affermare che  una delle ragioni essenziali della grande inquietudine dei giovani di oggi è appunto l'ignoranza di cui si compiacciono; direi anzi una certa qualità di ignoranza[7]». Rifiutano una cultura plasmata allo stampo del mondo preindustriale, i cui ideali non sono più adatti agli imperativi dell'esistenza moderna. Paradossalmente, essi «lottano contro questo neocapitalismo, ma in effetti ubbidiscono a loro insaputa alle sue esigenze sacrileghe[8]». Non innovano nel quadro della cultura paterna, ma la rifiutano.
La perdita di linguaggio per Pasolini coincide drammaticamente con la perdita della propria poetica. È la perdita di un mondo poetico quella che l'autore rimpiange, il mondo da lui descritto già in "Ragazzi di vita" o filmato in "Accattone", dove « er mondo è de chi c'ha li denti». Perso il particolarismo dialettale, l'autore sente di non avere più una lingua con cui rappresentare il mondo e non è più capace di identificarsi con esso. Il cinema per Pasolini è stato una scelta di linguaggio: girando i primi film ricorreva al linguaggio naturale della realtà. Finita la realtà così come lui la aveva amata ( la realtà del sottoproletariato, del mondo contadino) il poeta si trova perduto e costretto a inventare una nuova poetica, una poetica fatta di pluralità di scritture e ben rappresentata da Petrolio, quella forma-progetto dove l'oggetto estetico non conta più. Il Nuovo Potere gli ha tolto una lingua con cui rappresentare il mondo. E Pasolini non può fare altro che rappresentarlo in modo tragico e carico di nostalgia, come ne La Rabbia.




[1] PIER PAOLO PASOLINI; "P:giudica i temi di italiano", Tempo illustrato, 1973. Ora in Scritti corsari con il titolo"La prima vera rivoluzione di destra", pp. 17-21
[2] Ibid.
[3] PIER PAOLO PASOLINI; "Il sogno del centauro", intervista a cura di J. Duflot
[4] PIER PAOLO PASOLINI, "Aboliamo la tv e la scuola dell'obbligo", Corriere della sera, 1975
[5] Ibid.
[6] PIER PAOLO PASOLINI, "Il genocidio", Scritti Corsari, pp. 226-231
[7] PIER PAOLO PASOLINI, "Il sogno del centauro", intervista a cura di J. Duflot
[8] Ibid.





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